Per capire meglio il significato di questa croce c'è una storia da narrare.
Nel lontano 1747, Osvaldo Nodale non pensava neppure lontanamente cosa sarebbe potuto accadere in seguito a quel viaggio in mare. Un giorno, una tempesta furiosa mise in pericolo nave e passeggeri; il Comandante, accortosi del pericolo, diventò serio e per la vita dei passeggeri gridò: “Chi può si metta in salvo!” Osvaldo Nodale slacciò la cintura dei soldi che aveva attorno alla vita, la buttò in mare e cercò, insieme ad altri cinque compagni di sventura, di aggrapparsi a un battello, ma nella fretta mise un piede in fallo e cadde in mezzo alle onde. In quello stesso momento Osvaldo fece un voto: andare in pellegrinaggio in Galizia, a Loreto e a Roma in caso di salvezza. Di colpo la burrasca cessò e i cinque compagni lo presero per i capelli, lo issarono sul battello e lo salvarono. Arrivati a terra con l’aiuto di Dio i cinque si divisero.
Osvaldo pensò subito di tener fede al voto fatto e così si mise in viaggio insieme a un compagno. Arrivati a Gibilterra, Osvaldo fece realizzare una croce molto pesante e, appoggiatala sulle spalle per penitenza dei suoi peccati e per rendere grazie a Gesù Cristo per averlo salvato, si avviò verso San Giacomo di Gallizia in compagnia del suo amico. Arrivati nel luogo santo entrarono in chiesa e Osvaldo appoggiò la croce davanti all'altare, si confessò e fece l'eucarestia. Fecero benedire la croce e vi apposero sopra una reliquia in lamina di piombo raffigurante san Giacomo a cavallo. Si avviarono così verso Roma e dopo un lungo e faticoso viaggio, quasi vicino alla città santa, si persero in un bosco pieno di rovi e sterpi e per tre giorni si sfamarono solo di frutti selvatici. Ma la provvidenza fu grande. Un giorno passò da quelle parti un signore a cavallo che, commosso dalla loro storia, diede loro una moneta e disse: “Seguite il mio cavallo”; uscirono così dal bosco e continuarono la strada verso Roma.
Dopo una lunga camminata arrivarono alla Città Santa e visitarono le sette chiese per guadagnare le indulgenze. Furono ricevuti da Papa Benedetto XIV a cui raccontarono la loro storia e chiesero la benedizione della croce e un segno su di essa con la Bolla Pontificale. Il papa tenendo valide le intenzioni diede loro quanto richiesto. Presa la croce sulle spalle i due si avviarono cercando sempre la carità e si diressero così verso Loreto per soddisfare il terzo voto. Arrivati alla chiesa appoggiarono la croce davanti all’altare della Madonna e anche in quel luogo sacro chiesero l'autenticazione con la bolla.
Dopo due anni di pellegrinaggio Osvaldo tornò a Sutrio e sistemò la croce sulla facciata della sua casa. Qui restò per cinquantacinque anni. Nel 1784 un incendio distrusse una buona parte del paese, compresa la casa di Osvaldo, ma la croce rimase miracolosamente intatta. Nel 1805, la notte del 7 marzo, un certo Pietro Del Negro di Villa Di Mezzo di Paularo vide in sogno che in un paese della Carnia era custodita una Croce Santa, portata per un voto da un pellegrino da San Giacomo di Gallizia. Il brav’uomo sognò anche di portarla sulle spalle in pellegrinaggio al Santuario di Maria Zehl in Carinzia. Chiedendo in giro venne a sapere che la Croce era custodita dagli eredi di Osvaldo, a Sutrio. Chiese in prestito la croce per portarla al suo paese, col patto di restituirla entro due mesi, ma dopo appena un giorno il proprietario corse a farsela riconsegnare. Il signore di Paularo la riconsegnò ma non senza prima aver fatto il disegno in tutto e per tutto preciso della croce. La copia della croce venne portata in pellegrinaggio al Santuario tedesco dall’uomo di Villa di Mezzo. Ancora oggi, la Croce, portata in pellegrinaggio in Gallizia, a Roma e a Loreto, foderata di ferro per proteggerla dal tempo e dal popolo che staccava pezzetti di legno per devozione e reliquia, è appoggiata sul muro antico della casa e il pronipote Gino da Lille la custodisce e la illumina notte e giorno. La strada che passa sotto la casa viene ancora chiamata la Crousarie.